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"RIBITTRATTO":  mostra fotografica a cura di Lillo Rizzo - Calamonaci 2003

«Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo solo una volta: essa ripete all'infinito meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente. In essa, l'accadimento non trascende mai verso un'altra cosa: essa è il Particolare assoluto, la Contingenza suprema. […] Qualunque cosa essa dia a vedere e quale che sia la sua maniera, una foto è sempre invisibile: ciò che noi vediamo non è lei. […] Infatti, io non vedo altro che il referente, l'oggetto desiderato, il corpo prediletto». Così riassume Roland Barthes, in La camera Chiara, l'essenza della fotografia; una riflessione semplice, chiara, inequivocabile anche se parla del doppio sguardo che la fotografia rappresenta: lo sguardo del fotografo e lo sguardo dello spettatore. Nel caso di Calogero Rizzo la fotografia diventa "costruita", rimessa in gioco dall'indecidibilità tra reale e fittizio, tra verità e manipolazione, tra originale e copia. La costruzione della fotografia, quindi dell'IO fotografato, diventa più un fatto concettuale e artificiale che naturale: al dissolvimento dei valori assoluti della società contemporanea, i personaggi ritratti,  non reagiscono con senso di smarrimento ma con volontà di ricostruzione, autodeterminazione, invenzione di sé, autorealizzazione e insieme senso della molteplicità, della disseminazione, della libertà che non è più origine del dissolvimento, ma motore, distributore delle differenze, perfino delle incongruenze e delle eterogeneità, che per questo contiene come parti di un insieme e rielabora costruendo nuovi riferimenti sociali diversi dai precedenti, ma non per questo peggiori. Tutto ciò è inequivocabilmente scritto nel diario per immagini che Calogero Rizzo ci propone, esso è costituito da trenta fotografie in cui l'autore ha scelto di raccontare alcuni normalissimi volti quotidiani, nella convinzione che talvolta le cose più semplici possono trasformarsi in immagini straordinarie. Rispecchiando una spontanea capacità di emozionarsi di fronte alle espressioni spontanee di saggezza, armonia, equilibrio e libertà che questi giovani volti ispirano. Ognuno verrà sedotto, da queste fotografie di Calogero Rizzo, a proprio modo, in base a come le foto riusciranno a stimolare i nostri ricordi e le nostre esperienze passate. Il punto di partenza è la vita personale di ognuno (del fotografo, del fotografato, dello spettatore). La fotografia resta dunque il rapporto temporale tra un prima e un dopo, fare una fotografia è un modo di toccare qualcuno, è una carezza, è l'accettazione, il desiderio di cogliere la verità e di accettarla, senza cercare di farne una versione personale. I personaggi, in queste fotografie, sembrano affrontare se stessi piuttosto che lo spazio che li circonda. Il loro mondo non è però quello dell'interiorità è anzi quello di un'esteriorità radicale e ineluttabile. La luce sembra anticipare i movimenti dei corpi e magnetizzarli nel loro spostamento. Passando alla tecnica usata, essa è completamente digitale, infatti le fotografie sono state scattate con una fotocamera digitale, trasferite ed elaborate sul Computer e stampate su carte fotografica per PC. Il colore che viene utilizzato è mescolato con il bianco e nero e manipolato con l'elaborazione elettronica. Concludendo: il lite motive che Calogero Rizzo ha seguito per realizzare questa mostra, a mio avviso, si può riassumere in questa frase di Barthes: «La Fotografia è l'avvento di me stesso come altro: un'astuta dissociazione della coscienza d'identità».

(Recensione di Rosario Perricone)

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